Nasce il Cammino del Gran Sasso

by PASSIONECAITPR

L’AQUILA – Il 2023 è l’anno in cui in Abruzzo si vedrà la nascita un nuovo Cammino.

È lungo 61 chilometri, attraversa alcuni dei paesaggi più belli e incontaminati della regione, i borghi tra i più iconici e porta il nome della cima più alta dell’Appennino, autentico brand per una regione emergente dal punto di vista turistico: il Gran Sasso.

Il progetto, che si è aggiudicato il bando del Gal Gran Sasso-Velino, nell’ambito della Misura 19-Sostegno allo sviluppo locale Leader di tipo partecipativo – sottomisura 19.2 rivolta al turismo sostenibile –  è stato  presentato alla stampa il 9 febbraio alle ore 10,30 nella sala Rivera di Palazzo Fibbioni, in via San Bernardino all’Aquila.

Un primo risultato – in un territorio particolarmente ostico – si può dire che è stato raggiunto già nella primissima fase, quando un gruppo di visionari è riuscito per la prima volta a mettere attorno allo stesso tavolo ben cinque Comuni – quelli di Barisciano, Santo Stefano di Sessanio, Calascio e Castel del Monte, ai quali in un secondo momento si è aggiunto quello dell’Aquila – e dieci tra operatori turistici e non: l’Albergo Monte Selva e l’Ostello Natour di Barisciano, il B&b La Bifora e le lune di Santo Stefano di Sessanio, il ristorante La Taberna di Rocca Calascio, l’albergo Parco Gran Sasso e il ristorante Da Loredana di Castel del Monte e le associazioni I Viaggiatori nel Parco e Gran Sasso Guides, con la partecipazione di Legambiente Abruzzo e la testata online Virtù Quotidiane.

Il Cammino del Gran Sasso, frutto di un puntuale lavoro di ricognizione cartografica e sul campo e di geo-referenziazione portato avanti nel corso del 2022 cui seguirà l’installazione di apposita segnaletica e di stazioni di ricarica per e-bike, è un percorso ad anello che parte da Fonte Cerreto, alla base della funivia del Gran Sasso nel territorio comunale dell’Aquila, e si sviluppa nelle seguenti tappe: la prima arriva fino a Castel del Monte attraversando Campo Imperatore e il suggestivo Canyon dello Scoppaturo, set naturale di numerosi film; la seconda tappa va da Castel del Monte alla Rocca di Calascio, attraversando il Pianoro di San Marco e superando il Colle della Battaglia; la terza conduce dalla Rocca di Calascio a Santo Stefano di Sessanio; la quarta arriva fino a Barisciano attaverso la Piana delle Locce; la quinta e ultima consente di tornare da Barisciano a Fonte Cerreto attraverso le pendici del Monte Ruzza e il rifugio di Montecristo.

Il Cammino del Gran Sasso vuole valorizzare la cima più alta e conosciuta dell’Appennino, nella convinzione che essa possa rappresentare un autentico brand capace di diventare vero attrattore di turismo e dunque di innescare uno sviluppo per l’intero comprensorio che punti, tra le altre cose, alla destagionalizzazione e quindi a un flusso di presenze slegate dalla neve e dai periodi clou estivi.


Noi vogliamo raccontarvi il nostro punto di vista attraverso un tour fotografico/culturale ovviamente alla ricerca di cavalli immersi nella natura per raccontare l’antichissimo rito della transumanza.

LA TRANSUMANZA, UN CAMMINO LUNGO MIGLIAIA DI ANNI

C’è stato un tempo in cui gli animali andavano a piedi.

Partire, tornare, partire… anno dopo anno, un millennio dopo l’altro, uomini e animali, insieme. La natura come una seconda pelle, accordandosi al canto inconfutabile delle stagioni.

Nel corso dei secoli era naturale che i percorsi degli uomini seguissero quelli degli animali. Si pensi che soltanto nelle campagne spopolate del Lazio e della Toscana migravano quasi un milione di capi e la “gens agricola” della Majella, così come dell’Aquilano, usava camminare con le greggi e le mandrie in transumanza fino al tavoliere delle Puglie e nell’altipiano della Murgia.

La transumanza era diffusa dalla Sardegna al Trentino-Alto Adige, a tal punto che ancora oggi il ricordo visivo delle masse interminabili di animali che andavano a piedi è ancora forte tra i più anziani.

Per secoli i pastori attraversano gli Appennini con i loro armenti, camminando su una rete di tratturi sterrati pieni di storia e di poesia, indispensabili per  conservare  una cultura identitaria  profondamente radicata.

Queste vie, immerse in un paesaggio parallelo, negli ultimi decenni sono diventate oggetto di mirati  progetti di cura e conservazione. Tuttavia la loro funzione storico -geografica è spesso intrisa di simbologie religiose e scaramantiche, segni di specifico valore storico-antropologico lasciati nei millenni dalla cultura pastorale.

Ora anche l’Onu riconosce il loro ruolo: «Un modello di produzione ecologica e sostenibile».

Nel 2024 la quarta candelina per l’importantissimo riconoscimento avvenuto nel dicembre 2019 per la “TRANSUMANZA“, entrata nella lista dei patrimoni culturali immateriali Unesco dell’umanità. «Un esempio straordinario di approccio sostenibile per affrontare le sfide poste dalla rapida globalizzazione, che ha contribuito in modo significativo a modellare il paesaggio naturalistico» ha scritto l’Organizzazione delle Nazioni Unite. 

É con queste parole che la Convenzione per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale, promulgata dall’UNESCO nel 2003 e ratificata dall’Italia nel 2007, definisce il concetto.

Per “patrimonio culturale immateriale” s’intendono le prassi, le rappresentazioni, le espressioni, le conoscenze, il know-how – come pure gli strumenti, gli oggetti, i manufatti e gli spazi culturali associati agli stessi – che le comunità, i gruppi e in alcuni casi gli individui – riconoscono in quanto parte del loro patrimonio culturale. 

Questo patrimonio culturale immateriale, trasmesso di generazione in generazione, è costantemente ricreato dalle comunità e dai gruppi in risposta al loro ambiente, alla loro interazione con la natura e alla loro storia e dà loro un senso d‘identità e di continuità, promuovendo in tal modo il rispetto per la diversità culturale e la creatività umana.” 

Per la Convenzione, sono le comunità, i gruppi e gli individui portatori di conoscenze, pratiche e capacità i primi protagonisti nel processo di produzione e trasmissione culturale.

LA TRANSUMANZA RACCHIUDE IN SÉ UNA STORIA MILLENARIA.

Pratica silvo-pastorale che ha ispirato nei  secoli scrittori e poeti, da Terenzio e  Virgilio a  Plinio il Giovane, da Torquato Tasso a  Gabriele D’Annunzio con il suo “Settembre, andiamo è tempo di migrare…” è solo uno dei versi più celebri che danno origine nel  centro Italia, in particolare nelle terre aquilane e reatine, ai  “poeti-pastori”,  depositari del “canto a braccio”, il cosiddetto poema in ottava rima, nati grazie alla lettura di classici immortali,  ma anche di poemi ispirati alle leggende locali, veri e propri santuari virtuali.

Assai difficile raccontare un posto così magico che da diversi secoli è teatro di poesie, racconti, film, spot pubblicitari e oggi più che mai di post e stories di comuni mortali o dei tanto amati influencer più o meno influenti: sua maestà il Gran Sasso d’Italia con i suoi borghi , i suoi castelli e le sue rocche.

Una cartolina che si staglia sullo sfondo del massiccio del Corno Grande ad un’altitudine che varia dai 1.630 metri di Fonte Vetica  fino ai 2.130 metri a ridosso degli impianti sciistici, passando per la Piana di Campo Imperatore popolata da numerosi armenti di vacche, pecore, capre e naturalmente cavalli.

Inconfondibili, balzano subito agli occhi diverse mandrie prevalentemente di Cavallo Agricolo Italiano da Tiro Pesante Rapido: animali rustici e frugali, i giganti gentili tutti italiani,  che ci permettono di rivivere una tradizione millenaria di allevamenti e monticazione – ancor oggi perpetuata secondo pratiche pastorali tradizionali – creando sulle montagne Aquilane un sistema di habitat a prati e pascoli in equilibrio con l’ambiente circostante ricco di pregi naturalistici.

Fondamentale è il ruolo riconosciuto ai cosiddetti  Allevatori Custodi che lasciano pascolare le proprie mandrie sui territori ricadenti nel Parco del Gran Sasso e Monti della Laga, permettendoci di  fruire di uno spettacolo senza filtri, un vero e proprio sentiero culturale di biodiversità.

LA BIODIVERSITÀ É UN TESORO DA CUSTODIRE

Negli ultimi anni quello della “biodiversità” è infatti un tema molto discusso e per certi versi forse anche mal interpretato.

L’Italia vanta in assoluto il patrimonio di diversità biologiche più variegato al mondo.

La “biodiversità equina” rappresenta ovviamente solo un aspetto in un quadro complesso e strutturato che ha bisogno di un excursus che ci permetta di collocarle in maniera adeguata.

Il cavallo, in seguito alla meccanizzazione dell’agricoltura, ha subito un processo sufficientemente rapido di “dismissione” a favore di un impiego nelle attività sportive e ludico-amatoriali.

Negli ultimi 25 anni, sulla scia dei  trend dettati dai nostri cugini europei, il Cavallo inteso come animale da Zootecnia finalizzato alla selezione ed all’Allevamento ha subito un processo di riqualificazione anche nelle moderne aziende agricole, veicolando in maniera calzante i concetti di eco-sostenibilità e basso impatto ambientale.

L’Italia vanta ad oggi una varietà territoriale che permette a chi alleva di portare avanti progetti di selezione molto apprezzati anche all’estero e al contempo di lavorare quotidianamente affinché la genetica  con tutti i miglioramenti ad essa legati non tralasci né dimentichi mai le  tradizioni che hanno reso grandi le nostre eccellenze nel corso del tempo.

Ed è in questo spazio che oggi la “conservazione della biodiversità” trova una collocazione su diversi livelli.

Innanzitutto l’attività operata dagli Allevatori che aderiscono a specifici programmi di selezione  consente di conservare  una certa variabilità del patrimonio genetico all’interno della stessa razza in determinate e specifiche condizioni; in secondo luogo la capacità di adattamento di determinate specie in certi territori all’apparenza un po’ estremi e molto spesso assai diversi tra loro, fa sì che le aree adibite al pascolo vengano preservate da rimboschimenti selvaggi che potrebbero diventare habitat  ideali per i pericolosissimi incendi estivi troppo spesso dolosi; last but not least, la funzione sociale legata alla cultura storico-naturalistica che in questi anni sta fortunatamente vivendo un periodo favorevole, consente di rivivere seppur solo attraverso i ricordi le tradizioni, la cultura di certe terre profondamente intrise in questa civiltà pastorale.

UNA LUNGA STORIA  

Attribuibili al IV secolo a. C. le prime testimonianze degli insediamenti  Romani intorno alla attuale borgo di  Castel del Monte che fu fondata con il nome di Città delle Tre Corone. Da allora i testi raccontano con dovizia di particolari il susseguirsi di dominazioni che nel 400 sotto i Medici attribuirono alla località il titolo di “Capitale della Lana“, proprio per quel legame indissolubile con i riti della pastorizia mai sopiti.

Ma i pascoli fin dai tempi d’oro non erano prerogativa esclusiva delle greggi famose anche grazie alle liriche di  D’Annunzio, tant’è che negli affreschi popolari non di rado si scorgono anche vacche e cavalli, assolutamente necessari e complementari alla complessa macchina organizzativa della transumanza che imperversava nel famoso Trattura Magno collegando Campo Imperatore con il Tavoliere delle Puglie.

Un riconoscimento altisonante arriva nel 2019 proprio dall’UNESCO che riconosce la Transumanza come patrimonio immateriale dell’Umanità, indissolubile valore culturale per i territori.

Oggi le cose sono in parte cambiate: il progresso e la tecnologia hanno resto l’attività allevatoriale stanziale e verticale .

Tuttavia fin dai primi tornanti che portano verso la Piana di Campo Imperatore,  il tempo sembra essersi davvero fermato.  

La Fossa di Paganica è popolata di armenti che pascolano tranquilli ed in armonia tra loro, i laghetti naturali sono colmi di acqua necessaria all’abbeveraggio quotidiano, i telefoni non ricevono segnale e ci si deve concentrare sullo spettacolo meraviglioso che la natura ci offre.

Difficile dire lassù in che anno siamo veramente.

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